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Autore Fortapàsc di M. Risi
oronzocana

Reg.: 30 Mag 2004
Messaggi: 6056
Da: camerino (MC)
Inviato: 30-08-2009 22:48  
«Che razza di paese è? Che arriviamo sempre dopo!» oppure «Questi fanno la guerra e noi raccogliamo solo i morti.» Sono due frasi, due semplici locuzioni verbali pronunciate dal capitano dei Carabinieri della compagnia di Torre Annunziata. La resa dello Stato di fronte alle legioni della camorra, ai guappi della criminalità organizzata; di fronte alla gente che non vede un’alternativa nell’operato della Repubblica.
Fortapàsc come Il massacro di Fort Apache: la battaglia del Little Bighorn in versione napoletana. La storia è sempre quella del hinterland di Napoli, martoriato dalla criminalità organizzata e dalle sparatorie nei vicoli angusti e scomodi: cupi come la verità che raramente emerge dal fango che asfissia i territori campani. L’Italia non è un paese per giornalisti giornalisti (non è un refuso), ma per giornalisti impiegati che scrivono quello che altri commissionano. Informare non è la priorità, come invece lo stesso Giancarlo Siani tenta di spiegare ad una folla di giovani alunni durante una lezione dove la speranza del cambiamento viene scaricata sulle generazioni future. Ma fare l’eroe, si sa, non è facile né remunerativo. Ed ecco che durante le battute conclusive, lo zelante giornalista viene ucciso da chi gli sta intorno. Isolato e lasciato solo nella paranoia e nella paura di essere sparato: abbandonato da tutti, compresi gli amici e la compagna. Tutti troppo aggrappati (aggiungo comprensibilmente) ad un sistema ormai unico che paga anche “u ‘fitto” a donne sole ed in difficoltà: il miglior stato sociale che l’uomo abbia mai conosciuto.
Marco Risi, figlio di Dino, ci (ri)prova. Tenta di mettere nero su bianco una storia vera. Una storia importante e pesante, ma ahimè una delle tante. Giancarlo Siani era uno de tanti giornalisti giornalisti (anche qui non c’è ripetizione), senza esser giornalista: era infatti un abusivo, un gradino sotto il praticante che, a sua volta, è ancora un po’ più sotto al giornalista. Il film narra; racconta la storia di questo ragazzo assassinato da una professione alla veneranda età di 26 anni. Lo stile è lineare, molto classicheggiante e poco rumoroso, così come l’attività della camorra che non ama aver gli occhi addosso compresi quelli della stampa, ma che ha il grosso pregio di comporre una pellicola fruibile da tutti e, visto il contenuto, è una questione primaria per le opere di questo genere. Bravi tutti gli attori, soprattutto il protagonista e la macchietta del Pretore Rosone (sintesi perfetta della finta antinomia stato-camorra).

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Partecipare ad un'asta, se si ha il Parkinson, può essere una questione molto costosa.
Michael J. Fox
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